La Juve dei Weah
Quella partita, fra la Juventus dei campioni del Mondo, George Weah l’aveva vista o, meglio, ne aveva visto dei pezzi trasmessi dalla tv liberiana. Aveva diciassette anni, non era ancora Big George, ma faceva già tanti gol e aveva un idolo e una squadra del cuore: Platini e la Juventus. Quarantuno anni dopo, la Juventus è di nuovo al Villa Park, dove non era mai tornata da allora. Quarantuno anni dopo, la Juventus non ha campioni del mondo ed è anche senza Platini, ma è una squadra alla ricerca di una svolta o, per lo meno, di una spinta ulteriore per progredire nella sua travagliata ma costante crescita. Serve un altro miracolo di Birmingham: un Koop che finalmente segna, un Yildiz ispirato e ispirante, un lampo di Conceiçao, qualcosa che riporti il gol nel tabellino della Juventus. Oppure, come spera ardentemente Motta, una rete di Tim Weah, il figlio di George che, quarantuno, anni dopo torna a fare il tifo per una Juventus che gioca a Birmingham sperando che il pargolo gli regali la gioia doppia di una vittoria bianconera e di un suo gol. Magari anche di una svolta come quella che racconta Platini. Il popolo juventino, per esempio, sogna la svolta del gol, in questa siccità realizzativa, che finora ha frenato la squadra in Serie A, buttarla dentro servirebbe davvero tantissimo ai tifosi che, com’è giusto che sia, hanno libertà di sognare e il compito di stimolare chi va in campo perché giochi in modo da rendere coerente il proprio sogno di gloria. Birmingham è lì, grigiastra e metallica, la Juventus ci è tornata un po’ meno scintillante del 1983, ma comunque con una grande determinazione. Stasera ci rirprova mischiando la storia e le storie, caricando la maglia di Tim Weah, con l’elettrica attesa di rivedere qualcosa dal repertorio di famiglia.
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