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Juve, i soliti sospetti: tutto quello che non va nel gioco di Thiago Motta

Un dato, meglio di ogni altro e senza ubriacarsi di statistiche, racconta questa Juve: 8 partite di campionato allo Stadium, 11 gol realizzati. Una miseria. C’è una discreta differenza in trasferta: i bianconeri hanno segnato due reti in più (13) giocando una partita in meno (7). La media quasi raddoppia. Pesa il 4-4 di San Siro nel derby d’Italia: la variabile Yildiz negli spazi enormi concessi dall’Inter, a caccia della goleada. Un’anomalia. Thiago attacca poco e male, fa fatica a penetrare negli ultimi 30 metri, con o senza Vlahovic. Va così dall’inizio della stagione. Le partite sono tutte uguali. In casa, davanti alle difese schierate, sfondare diventa un’impresa. Squadra piatta, gioco orizzontale.

Juve, attaccare è una fatica

La Juve sa attaccare solo se trova spazio, verticalizza poco, gli esterni aspettano il pallone davanti al guardalinee, cercano l’uno contro uno, ma restano distanti dalla porta. Non a caso, tirano poco, quasi mai pericolosi. Eppure Conceiçao, con le sue serpentine, è l’unico in grado di creare e Weah sembra uno dei più in forma. Ndoye pungente nella notte torinese. «Quali sono le differenze con Italiano? Ora ho più libertà di movimento. Lo scorso anno dovevo rimanere di più sulla linea per aiutare quelli dietro». Difendere, un mantra. Attaccare, una fatica. La Juve, come il Bologna dello scorso anno, si dispone 4-1-4-1. Non è un 4-3-3 puro e Vlahovic è diverso da Zirkzee. Attaccanti periferici, forse troppo. Quando Danilo ha creato una rarissima sovrapposizione, innescato da Conceiçao, è arrivato il gol di Koopmeiners. Il 2-2 di Mbangula nato non a caso in contropiede. Poco movimento per i canoni del tecnico italo-brasiliano, a cui ora appartiene un record negativo: la Signora non aveva mai pareggiato 9 volte nelle prime 15 giornate.

Thiago Motta ha l'X Factor

L’imbattibilità non è un vessillo da sbandierare con orgoglio. Nel calcio dei 3 punti per vittoria, i pareggi sono mezze sconfitte. Motta ha superato Trap, che aveva pareggiato 8 partite nelle prime 15 del campionato 1980-81. Era la Juve di Bettega, Brady, Causio, Tardelli, Cabrini e Scirea. Vinse lo scudetto a quota 44 punti. Trenta giornate, nel ritorno Trap pareggiò solo due volte. Altri tempi e circostanze irripetibili. Questa Juve, salvo galoppate irresistibili o rinforzi veri a gennaio, difficilmente lotterà per il titolo. Inter, Atalanta e Napoli sembrano di un altro pianeta. Irraggiungibili. La società, progettando un nuovo ciclo, chiede la Champions. Mica scontato entrare tra le prime quattro o cinque, confidando nel ranking Uefa. La concorrenza è durissima. Fiorentina e Lazio per cominciare. Occhio al Bologna. Senza il gol di Mbangula, Italiano sarebbe salito a meno 1 dalla Juve con una partita in meno. E il Milan non può essere considerato fuori.

Infortuni, ritardi e delusioni

Le aspettative sono esagerate. Il livello tecnico è sceso senza parlare dell’attacco. Nessuno in Serie A gioca con un solo centravanti. Basta citare i nomi. Szczesny, Rabiot e Chiesa erano tre pilastri. Si è aggiunto Bremer. Infortuni, delusioni e ritardi hanno contribuito. Il mistero Douglas Luiz, Nico Gonzalez ha giocato 15 giorni (da metà settembre a inizio ottobre), Fagioli in crisi. Poca qualità in regìa, Koopmeiners trasparente. Gasp lo impiegava tra i due mediani o da mezzala nel 3-5-2. L’olandese deve guardare il gioco. Trequartista, con le spalle alla porta, non funziona. Forse sarebbe più conveniente arretrarlo.

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