Antonello Cuccureddu (Alghero, 4 ottobre 1949) è un ex calciatore e allenatore di calcio italiano, di ruolo difensore o centrocampista.
Ha speso una vita - calcistica - nella Juventus, di cui è stato un simbolo e una bandiera. Ma non dimentica le sue origini sarde, lui che è nato ad Alghero.
**Antonello Cuccureddu** introduce la sfida di Coppa Italia che, martedì sera, vedrà contrapposte Juve e Cagliari.
**Antonello, che Cagliari si aspetta all’Allianz Stadium?**
“Per prima cosa dico che, se io fossi in Davide Nicola, metterei in campo la squadra migliore. Come dovrebbe fare chiunque giochi contro la Juventus. Mi sembra la cosa più sensata da fare. Poi chiaramente vedrà il mister se far riposare o meno qualcuno dei titolari, magari in vista della successiva gara di campionato.”
**Che impressione le ha fatto invece, fino a questo momento, la Juventus di Thiago Motta? Il pareggio per 2-2 contro il Venezia ha surriscaldato l’ambiente bianconero, tanto che ieri sera i giocatori sono stati contestati da una parte della tifoseria.**
“È da un po’ di tempo che i tifosi non sono contenti di quello che sta facendo la Juve. Sicuramente si aspettavano qualcosa in più. E, devo ammetterlo, anche io mi aspettavo qualcosa di meglio da questa squadra. Ma a volte nel calcio ci sono dei momenti in cui bisogna stringere i denti e lasciar passare la buriana, sperando che la propria forza emerga più avanti nel tempo. Il problema è che i tifosi non conoscono il significato della parola ‘aspettare’… Vorrebbero vedere la Juve sempre vincente e competitiva.”
A suo avviso come mai la Vecchia Signora pareggia così spesso, soprattutto nelle gare casalinghe?
“Non saprei. Bisognerebbe fare un’analisi molto profonda, ma dall’interno. Difficile giudicare dall’esterno. Posso dire che spesso, quando guardo le partite dei bianconeri, anche io mi arrabbio per come giocano. La difesa è forte e strutturata, ma qualche volta la squadra non riesce a concretizzare la mole di gioco che produce. Bisogna tornare a fare gol: so che sembra facile a dirsi, ma è la verità. Sta all’allenatore, in casi come questi, trovare la quadratura del cerchio.”
**ANTONELLO CUCCUREDDU E LA JUVENTUS** «Essere stati juventini è come aver fatto il bersagliere. Per tutta la vita resti tale. Perché una società come la Juventus non esiste, non ha riscontri come età, come ambiente, come tutto. Il suo stile, il rispetto reciproco, soprattutto l’impronta della famiglia Agnelli». Scelse il più difficile, ma anche il più diretto modo di presentarsi alla Juventus. In una partita di Coppa Italia del settembre 1969 allo stadio Comunale torinese scese in campo con la maglia del Brescia e marcò così bene Luis Del Sol da impressionare la dirigenza bianconera. Era l’inizio della sua storia juventina che doveva portarlo a vincere, in dodici anni, sei scudetti, una Coppa Italia e una Coppa Uefa, totalizzando 434 presenze con trentanove goal. Un bottino che ricorda tuttora con affetto e gioia. Terzino, mediano, mezzala, giocatore eclettico, alla Juventus arriva nella stagione 1969-70 ai tempi di Luis Carniglia, anche se a lanciarlo è Rabitti, dopo il licenziamento del tecnico argentino. Ricorda quel giorno come uno dei più belli: «La Juventus era malmessa in classifica, io debuttai a Cagliari, ci trovammo sotto di un goal, la gente urlava: “Serie B, Serie B”. Nel finale mi giunse fra i piedi la palla buona e infilai Albertosi. Quel goal rappresentò molto, fu una specie di trampolino per la Juventus che finì in bellezza il campionato». Di goal importanti, comunque, ne ha realizzati tanti: Cuccureddu ricorda quello dello stadio Olimpico che consacrò la Juventus Campione d’Italia il giorno del disastro del Milan a Verona; i goal segnati contro il Magdeburgo in Coppa; un altro in Coppa Uefa l’anno del successo. In dodici anni passati alla Juventus, Cuccureddu ha avuto come tecnici: Carniglia, Rabitti, Picchi, Vycpálek, Parola, Trapattoni. Ora ne parla, e allinea il povero Picchi a Trapattoni: «Non ci fu il tempo di valutarne appieno le doti e la personalità. Però una cosa è certa: Picchi era un allenatore giovane con idee nuove che capiva di calcio, che sapeva applicarlo, spiegarlo, che aveva un dialogo e, soprattutto, era pieno di umanità e sapeva esserti amico. Come Trapattoni, insomma, che non viveva all’ombra di Boniperti come sostengono i maligni. In primo luogo per una questione di personalità che Trapattoni ha e che ha sempre difeso, poi perché la Juventus non ha mai tolto e non toglie spazio a nessuno». In Nazionale Cuccureddu gioca sedici volte: debutta a Varsavia contro la Polonia nel 1975, chiude in Argentina nella partita col Brasile per il terzo-quarto posto. Ancora oggi si domanda perché fu estromesso dal giro dopo il Mondiale del 1978. «Non discuto le scelte di Bearzot: certamente avrà avuto le sue ragioni. Però un discorsino mi avrebbe fatto piacere. In fondo il mio contributo l’avevo dato». Il suo eclettismo, in fatto di ruoli e di compiti, lo sottolinea nella stagione 1975-76. Ricordava su “La Gazzetta dello Sport” Beppe Conti, che nella Juventus che eguaglia o fallisce di un soffio record prestigiosi, c’è Antonello Cuccureddu in possesso di un primato perlomeno curioso. In quel campionato ha giocato, infatti, con ben sette differenti numeri di maglia. Il due (Napoli, Roma, Bologna, Sampdoria e Perugia), il tre (Verona, Como, Fiorentina, Cagliari e Cesena), il quattro (Fiorentina), il sette (Como), l’otto (Verona), il dieci (Inter e Ascoli) e l’undici (Torino). Mentre Cuccureddu cambia maglia in continuazione, restava in tribuna elementi del calibro di Altafini, Spinosi, Gentile, Gori, Damiani e lo stesso Capello, ai quali l’allenatore di volta in volta preferisce il sardo. Il suo passaggio da terzino d’ala a centrocampista avviene in seguito ad un infortunio occorso a Bob Vieri dopo una trasferta in Germania per un impegno di Coppa Uefa: «Da quel giorno entrai in pianta stabile; la mia impostazione tattica venne cambiata. I dodici anni che ho passato a Torino sono indimenticabili anche per questo». I difensori lo cercano non appena possono evitare la respinta casuale e lui serve l’interno oppure l’ala tornante in linea con lui, rilancia il compagno che sfrutta le fasce con secche battute di collo, invita il centravanti a scattare verso l’area avversaria e scatta, a sua volta, negli spazi. Quello che pratica Cuccureddu è un gioco moderno e valido per lo spettacolo e il risultato. Le partite di Antonello sono novanta minuti di corsa sul passaggio obbligato del gioco avversario. Filtrare e ricostruire: non esiste fatica più improba; correre, perché si vuole e rincorrere, perché si deve; il cuore a stantuffo e i polmoni a mantice. Il vigore fisico gli consente di reggere la fatica della partita, il talento gli scopre gli orizzonti della bella giocata; sa alternare, con estrema disinvoltura, l’intervento risoluto e l’azione sciolta ed elegante. Una delle sue prerogative è il tiro a rete, forte, teso, imparabile. I suoi calci di punizione sono carichi di dinamite. Come tiratore puro è il più forte della compagnia. I suoi calci di punizione sono carichi di dinamite. Cuccureddu tira delle vere e proprie bordate; il pallone parte dritto e non cambia mai traiettoria. I tiri di Cuccu sono onesti, non cercano di ingannare il portiere. Niente “foglia morta”, “tiro a giro” o “cucchiaio”. Il pallone parte dritto per dritto e il portiere non può fare altro che raccogliere il pallone in rete. «Finiscila di minacciare la mia incolumità!». Gli grida scherzosamente Carmignani, durante gli allenamenti. Due aneddoti: nel 1973 la Juventus (pur sconfitta nella finale di Coppa Campioni) ha, grazie alla rinuncia dell’Ajax, l’opportunità di disputare la Coppa intercontinentale. Si gioca a Roma, contro l’Independiente di Buenos Aires: Sullo 0-0, la Juventus usufruisce di un calcio di rigore a favore per un fallo subito dallo stesso Cuccu. Il sardo tira una delle sue proverbiali cannonate, ma la palla sorvola la traversa; a un minuto dalla fine, su passaggio di un ventenne che avrebbe fatto strada, Daniel Bertoni, Bochini infila il goal decisivo, portando la coppa in Argentina. Campionato 1980-81: è il passo d’addio di Antonello, che sa di dover lasciare a fine stagione la casa tanto amata. La partita è Pistoiese-Juventus, Cuccu sblocca il risultato con un missile su punizione; non fa alcun gesto di esultanza, solo un mezzo sorriso (scriverà Giglio Panza: «Raramente ho visto tanta serenità esteriore in un giocatore dopo un goal»). Quel mezzo sorriso, quel commiato così sottovoce, con una tenerezza e un affetto enormi, dimostra tutto l’uomo in un piccolo gesto.
Rientra alla Juventus agli inizi degli anni Novanta, come allenatore della squadra Primavera, con la quale vince il prestigioso Torneo di Viareggio e lancia alcuni giovani promettenti: Cammarata, Dal Canto, Manfredini, Binotto, Squizzi e, soprattutto, Alessandro Del Piero.