INVIATO A TORINO - I fischi, l’andamento lento e il grande freddo. Non sono una Signora, cantava Lorendana Bertè. La vetta è lontana, meno 7 dall’Atalanta, il Napoli ha ripreso a galoppare. Ora persino la Champions non si può dare per scontata. Appena 6 vittorie in 16 giornate, sesto posto in classifica a quota 28 punti. Davanti ci sono Inter, Lazio e Fiorentina. Il Bologna, con una partita in meno, si è riportato sotto. Concorrenza durissima. Non sono risultati da Juve. Un nuovo ciclo, le difficoltà erano state messe in preventivo, si sono aggiunti gli infortuni, ma l’obiettivo va centrato, altrimenti potrebbe abortire il progetto. Thiago, nella notte della contestazione allo Stadium, si è costituito. Si è preso le responsabilità, ha chiesto unione all’ambiente, ammettendo i limiti e le difficoltà tattiche dei bianconeri. Attaccano solo in campo aperto e quando le squadre giocano, come succede in Champions. Molto meno se c’è bisogno di penetrare negli spazi chiusi. Allergia alle difese schierate. «Ora è questa la realtà. Ci dobbiamo prendere più rischi nell’attaccare» ha spiegato il tecnico. Il possesso non paga, si è trasformato in una tassa. Quasi il 70% e il rischio elevatissimo del ko di fronte al Venezia, ultimo. Doveva essere la ripartenza dopo il successo sul City. È stato un enorme passo indietro. Servono correttivi. Thiago tiri fuori un’idea.
Ben 6 pari in 9 gare: in casa è una fatica
Soltanto 6 vittorie nelle prime 16 giornate di Serie A. Non succedeva dal 1998/99, era l’ultima Juve di Lippi, in scadenza di contratto ed esonerato dopo l’annuncio del suo addio a fine stagione, anticipato a dicembre. Subentrò Ancelotti e la squadra bianconera, che nel campionato successivo avrebbe lottato per il titolo sino all’ultima giornata con la Lazio, si piazzò settima. Altri tempi, non ci sono i presupposti (se non statistici) per alcun tipo di paragone. La Juve di Motta non può sbandierare con orgoglio il vessillo dell’imbattibilità, perché ha già pareggiato 10 volte, di cui 6 in 9 gare allo Stadium. Ecco il dato da evidenziare e su cui sbatte la classifica di Thiago. Sarebbe bastato vincerne tre per proiettarsi a ridosso di Atalanta e Napoli. La Signora fatica ad attaccare negli spazi stretti, non finalizza e non conclude in proporzione adeguata al possesso. Difficoltà evidenti negli ultimi 30 metri. Thiago ha vinto in casa solo alla prima di campionato (3-0 al Como), contro la Lazio su autorete e in superiorità numerica (1-0) e nel derby della Mole (2-0 al Toro). Ha pareggiato con Roma (0-0), Napoli (0-0), Cagliari (1-1), Parma (2-2), Bologna (2-2) e Venezia (2-2). Nel totale 13 gol realizzati e 7 subìti. In trasferta 4 pareggi in 7 partite di cui due a San Siro (4-4 con l’Inter, 0-0 con il Milan). Una beffa a Lecce (1-1), prendendo il gol di Rebic quando la partita era già vinta, e lo 0-0 di metà settembre a Empoli. La trama di solito è la stessa: non chiudere il conto dopo aver sbloccato il risultato.
C’è poca personalità: si sente la pressione
Ha personalità Conceiçao, non a caso gli affidano il pallone e tenta il dribbling. Spesso sembra l’unico in grado di rovesciare o cambiare una partita della Juve. È stato decisivo, si fa per dire, anche entrando contro il Venezia, altrimenti non sarebbe nata l’azione del rigore. Ci ha messo personalità Vlahovic, per la prima volta partecipativo alla manovra come non lo avevamo mai visto quest’anno, veniva fuori e dialogava. Non è timido Yildiz, 19 anni appena compiuti, ma non gli si può chiedere di risolvere come se davvero fosse Del Piero. È una squadra giovane la Juve. Porta il peso del nome senza possederne ancora lo standing. Le aspettative sono elevate e gli infortuni hanno contribuito. Dietro non c’è più Bremer a custodire la difesa. Mancano i top. E certi giocatori devono fare esperienza. Inutile propaganda sulla Next Gen, i ragazzi si lanciano dentro un’orchestra collaudata. I risultati parlano chiaro. Allo Stadium le difficoltà sono nette. Alla Juve, per tradizione, c’è un solo risultato a disposizione: la vittoria. Conta l’aspetto mentale. Può darsi che una parte della squadra avverta la pressione. Se le difese sono schierate, servono una giocata o un’invenzione per saltare l’ostacolo. Quasi nessuno, tolto Conceiçao, prende l’iniziativa, rischia o si assume la responsabilità. Senza tornare a Zidane o Ronaldo, oggi mancano Chiesa, Douglas Costa, Higuain, Dybala. Bastano i nomi per capire cosa è successo.
Manovra lenta: Koopmeiners e gli acquisti in ritardo
Non c’è più movimento, non si vedono gli scambi di posizione e l’attacco agli spazi che avevano caratterizzato le prime uscite della Juve, assai più rapida e incisiva. È come se la squadra fosse stata attraversata da una crisi di rigetto e non riesca a muoversi come chiede Motta, costretto a centrare i risultati senza aver ancora trasmesso una chiara identità tattica. Ora la manovra è lenta, involuta, senza sbocchi. Il mercato ritardato alla fine di agosto e la serie impressionante di infortuni non hanno favorito il tecnico ex Bologna. Una rincorsa continua tra esperimenti, tentativi, gerarchie ribaltate, passioni precoci e casi insoluti. Un palleggiatore come Fagioli è venuto meno e in realtà sarebbe il regista ideale per custodire il pallone. Thiago a settembre era partito sistemando Koopmeiners accanto a Yildiz, sul centro-sinistra: quei due, con la forza propulsiva di Cambiaso a sostegno, creavano gioco e relazioni. Poi l’olandese è finito più vicino a Vlahovic, bisognoso di rifornimenti. Quasi un rebus, Koop non rende e non incide sotto forma di assist e gol come dovrebbe Non si è mai visto Nico Gonzalez, appena recuperato. Stesso discorso per Douglas Luiz, che in realtà avrebbe dovuto trasformare il centrocampo. Locatelli, Thuram e McKennie i mediani più redditizi. C’è bisogno di rimescolare le carte. Thiago ha bisogno di trovare la soluzione: e se provasse con il vero 4-3-3?
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