Ariedo Braida, dirigente, ha parlato a Tuttosport anche della Juventus, attualmente distante dalla lotta scudetto
Matteo PifferiRedattore
23 dicembre 2024 (modifica il 23 dicembre 2024 | 04:01)
Ariedo Braida, dirigente, ha parlato a Tuttosport anche della Juventus: «La Juventus è una squadra alla ricerca della propria identità. L’idea alla base del progetto è chiara, ma i bianconeri non hanno ancora trovato quel filo conduttore che permetta loro di essere competitivi, a pieno titolo, ai massimi livelli».
Il processo di crescita sarebbe potuto o dovuto essere più veloce?
«Nel calcio, quando si scende in campo, si pensa sempre di essere pronti a vincere. Ma la realtà è che un progetto nascente, con un allenatore nuovo, tanti giocatori nuovi e pure una dirigenza nuova, necessita di tempo. È fisiologico, al fine di assorbire al meglio tutti i concetti inediti».
Ma ha intravisto aspetti che possano far pensare a un progetto vincente?
«La Juventus, nel concreto, è ancora alla ricerca di qualcosa, ma almeno nella teoria ci sono aspetti già lampanti. Ancora manca quel tocco di magia che, all’improvviso e spesso senza preavviso, dà un senso a tutto, permettendo di creare gioco e produrre occasioni con continuità. Quella scintilla deve ancora scoccare, ma il tempo provvederà».
Cosa non ha funzionato, fino a questo momento?
«Ci sono sicuramente delle attenuanti, a partire dagli infortuni. Non ci si può scordare del fatto che la squadra stia facendo a meno di Bremer, per esempio, uno dei centrali più forti al mondo. Guardate il City di Guardiola: ha perso un equilibratore come Rodri e sembra non funzioni più nulla. E poi...».
«E poi ci sono tanti giovani. Che stanno pure facendo bene, ma anche in questo caso serve pazienza: giocare nella Juventus non è come giocare in altre squadre. Tutti vogliono vincere, ma alcuni club non hanno alternativa: vale per i bianconeri come per Real Madrid, Bayern Monaco, Manchester United. E Milan».
Thiago Motta è il tecnico giusto al momento giusto?
«Ha solo bisogno di tempo, per l’appunto: arriva da buone stagioni, ma anche per lui questa è la prima volta su una grande ribalta, almeno da allenatore. Se si fa una scelta precisa, come ha fatto la Juventus in estate, poi ci si deve credere fino alla fine».
Vlahovic, nel bene e nel male, resta centrale in ogni discussione: lei da che parte sta?
«Il numero di gol segnati dice che può giocare a questo livello, che è all’altezza della situazione. Poi, in un club così, non basta mai: se fai 20 reti, ne avresti dovute fare 25. Lo stipendio ingombrante? Il mercato oggi esprime pochi attaccanti di alto livello, nel mondo e soprattutto in Italia, basta guardare la Nazionale di Spalletti. Prezzi e ingaggi viaggiano di conseguenza».
Ha dato qualche consiglio a Galliani per risalire rapidamente la china?
«Adriano non è mio fratello solo per una questione genetica. Ma nessun consiglio: mi affido al proverbio che recita “Grazie del consiglio, ma so sbagliare da me”. E, poi, l’esperienza è una delle poche qualità che non si può comprare e lui ne ha da vendere».
Cosa manca, allora, alla squadra di Nesta?
«Una vittoria. Tre punti in più cambiano l’umore e anche la classifica, in un contesto serrato come quello in Serie A».
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