Tacconi e un gruppo indemoniato
La Juventus di Platini, Boniek, Rossi, Tardelli, Cabrini, Gentile e Scirea viene dalla delusione di Atene e da uno scudetto lasciato dolorosamente alla Roma. Tacconi trova un gruppo indemoniato dalla sete di rivincita e si sintonizza subito. Scudetto e Coppa delle Coppe: un double micidiale. Il campionato, il ventunesimo della storia juventina, arriva proprio sul campo dell’Avellino, l’uno a uno firmato da Rossi consegna il titolo con una giornata d’anticipo ai bianconeri. E su Tuttosport del 6 maggio 1984, nel pagellone di fine stagione, Giglio Panza celebra così Tacconi: «Il salto dall’Avellino alla Juventus non lo ha emozionato, ma bensì esaltato. È potenzialmente il grande portiere del prossimo avvenire. Ha qualità tecniche eccezionali, il fisico del ruolo che gli è valso Tarzan come nome di battaglia; colpo d’occhio e di reni tra i pali, tempismo nelle uscite e cosciente coraggio. Lui stesso mi ha confessato che gli insegnamenti di Zoff gli sono stati preziosi, ma difficilmente rinuncerà del tutto a certi voli che - dice lui - fanno spettacolo. Quando è rientrato dopo l’infortunio che all’undicesima giornata gli aveva procurato la frattura della mano, ha vissuto momenti intimamente drammatici. E qualcuno, allora giudicò debolezza nella presa quella che era soltanto l’umano timore di una ricaduta. Oggi vince con merito il suo primo scudetto da protagonista assoluto».
La doppia parata a Basilea
Poi, a Basilea, arriva la Coppa delle Coppe, con una doppia parata che entra nella storia: prima di pugno su un colpo di testa ravvicinato di Gomes, poi di piede sul successivo tentativo di Frusco. Anche in quella notte è uno degli eroi e la festeggia a modo suo. Gli rubano perfino il portafoglio, lui un po’ stranito però commenta: «Se me l’ha preso un poveraccio sono felice per lui». Chissà, magari gli sono tornati in mente i giorni da disoccupato, nei quali aveva pensato che alla fine avrebbe fatto il cuoco. In fondo aveva studiato per quello, scuola alberghiera di Spoleto, vicino a casa sua: imparando a cucinare una amatriciana divina e addirittura l’anatra all’arancia. La cucina, invece, rimane un hobby, del quale sono felici i compagni che invita a cena: mangiano bene, bevono bene (ne capisce anche di vini) e ridono come matti, perché con lui è più difficile rimanere seri. Dice sempre quello che pensa. Il che, si sa, può non essere sempre una buona idea.
E così quando nella stagione successiva prende quattro gol a San Siro contro l’Inter di Kalle Rummenigge, una delle più umilianti sconfitte della Juventus con i nerazzurri, affibbia le colpe ai difensori, nonostante l’allenatore Giovanni Trapattoni ne abbia date non poche a lui e a certi piazzamenti creativi sui calci d’angolo. È di quei giorni una fulminante battuta di Gianni Agnelli, che amava lo spirito di Tacconi, meno certi suoi errori. «*Allora, Tacconi, come va?*», gli chiede a Villar Perosa.
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