Instancabile, silenzioso, fedele e sempre al servizio della squadra. Blaise Matuidi non ha mai avuto bisogno di proclami: per lui parlavano i chilometri macinati, i contrasti vinti, quella fame che non conosceva pause... In tre stagioni con la Juventus ha collezionato 98 presenze, lasciando un segno indelebile nel cuore dei tifosi. Ma non solo sudore e sacrificio: anche qualche lampo di gloria, come quel gol del 3-0 al Bernabeu contro il Real Madrid, che per 30 minuti spezzò il fiato del popolo bianconero, inebriato da una rimonta destinata a rimanere nella storia se non fosse per quelle rigore, tanto discusso, assegnato ai Blancos a tempo scaduto. Oggi, dalla sua Miami, Matuidi osserva con occhi lucidi la nuova Juve di Igor Tudor. Una squadra diversa, giovane, in cerca di identità.
Blaise Matuidi, qual’è la prima cosa che le viene in mente quando ripensa ai suoi anni a Torino?
«*Ricordo il giorno del mio arrivo in sede: capii subito di trovarmi in una realtà fuori dal comune. Un’istituzione gigantesca, per storia, blasone, strutture. Insomma, un club forte forte. Le persone che ci lavoravano avevano un ambizione smisurata. Non voglio dire che al Psg non fosse così, ma era la prima volta che mettevo piede al di fuori della Francia...*».
A volerla più di tutti fu Max Allegri...
«Con il mister ho tuttora un rapporto eccezionale. L’ho sentito giusto l’altro ieri per messaggio. Oltre ad essere un grande tecnico è una persona splendida. E questo è un vantaggio non da poco quando ti ritrovi ad allenare dei campioni. Se ha vinto tanto è anche per via delle sue qualità umane. In quegli anni è stato bravissimo a gestire lo spogliatoio».
Che tasti toccava per farvi rendere a quei livelli?
«A me ha sempre parlato con un fare paterno, come se fossi suo figlio. Grazie a lui mi sono ambientato subito».
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