Che finisse così era scontato fin dall’anno scorso, quando la vicenda Vlahovic è stata gestita in modo vagamente demenziale. Prima il tentativo di rilanciarlo, poi il piano per affossarlo da gennaio in poi con l’ingaggio di Kolo Muani e con il declassamento a panchinaro fisso, una mossa che ha ottenuto un duplice effetto: Dusan ha perso appeal sul mercato e si è ulteriormente logorato il suo rapporto con la società. Rapporto che già non era idilliaco. Il risultato finale è la cementificazione del muro contro muro di queste settimane, che blocca la Juve e mette a rischio il futuro dell’attaccante. Adesso, infatti è una partita di poker, in cui sia la società che il centravanti stanno rischiando e giocano sul filo del bluff la loro partita.
La posizione di Vlahovic
Vlahovic, in questo momento, ha certamente una posizione più forte, perché in mano ha l’asso di un contratto da 12,5 netti a stagione, garantiti fino a giugno 2026. Da sola, quella carta può valergli tutta la posta sul tavolo. Ma poi? Dal primo settembre, la Juventus potrebbe relegarlo ai margini della squadra e Vlahovic rischierebbe di perdere la convocazione della Serbia al Mondiale e, soprattutto, di vedersi ulteriormente svalutato (dopo due stagioni non proprio brillanti), quindi con meno chance di trovare un ricco contratto (la lezione di Rabiot dovrebbe insegnare qualcosa, soprattutto perché Rabiot veniva da una buona stagione). Il fatto di non avere offerte interessanti in queste settimane dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per chi conta di trovarle fra 12 mesi, da trascorrere per lo più in panchina. Quindi, se la Juve non ha le carte per vincere la mano estiva, dall’autunno i rapporti di forza si potrebbero rovesciare.
Cosa può fare la Juve con Vlahovic
Ma giocare a poker non è una cosa da bravi amministratori e forse, in questo momento, c’è bisogno del buon senso di fronte a una situazione che si è troppo aggrovigliata per pensare di risolverla senza un compromesso economico e morale. Se la Juve tiene Vlahovic, spende 43 milioni di euro (24 di ingaggio e 19 di ammortamento), se la Juve lo cede a un club (il Milan?) facendosi pagare il cartellino, diciamo, 25 milioni, ma garantendo una buona uscita a Vlahovic per compensare l’ingaggio inferiore che andrebbe a prendere (diciamo una decina di milioni lordi), alla fine segnerebbe una piccola plusvalenza sul cartellino e spenderebbe meno della metà di ingaggio. Non un trionfo a braccia alzate, ma un apprezzabile contenimento dei danni.
Altrimenti, se Vlahovic decidesse di inchiodarsi alla Continassa, al posto del buon senso ci vorrà tutto il senso pratico di Tudor, perché spendere 43 milioni per tenere un giocatore ai margini della rosa è un lusso irragionevole e, quindi, potrebbe essere più furbo utilizzarlo come riserva di Jonathan David in attesa del divorzio (sacrifi cando Kolo...). Comunque vada, finirà malissimo questa storia iniziata in modo euforico nel gennaio del 2022. Le colpe, come al solito, vanno distribuite e non appartengono solo a una parte, anche se - perdonate la banalità della considerazione che sfi ora pericolosamente il luogo comune, ma sgorga dal cuore - l’immoralità di certe cifre di fronte a certe deludenti performance si staglia davanti agli occhi di tutti e non è un bello spettacolo per nessuno.
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