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Redazione Calciomercato
Juvemania: Conte tornerebbe anche senza Champions, ma mettendo le mani avanti
items-center text-gray2 flex text-sm gap-1.5"> Cristiano Corbo
6 minuti fa
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Novanta minuti per decidere tutto. Come sempre, come dev’essere per una squadra come la Juventus. Tutto si gioca in una sola partita, perché è giusto così: ridurre il senso dell’intera stagione a questi ultimi 90 minuti, a quest’ultima prova. È il destino delle grandi squadre: vivere dentro o fuori, dentro la storia o fuori da essa. In un’annata costellata di esami da superare, di prove che avrebbero dovuto segnare la maturità di un progetto tecnico e umano, la Juve si ritrova ancora una volta davanti al bivio. Tante tappe non sono state superate. Troppe sono le occasioni perse. E allora non resta che dare a questa stagione un significato. Un senso compiuto. Qualcosa di vero, di tangibile, che vada oltre le parole, oltre le intenzioni. Servono i fatti. Serve l’Europa che conta.
A Venezia si decide il destino. O ci si afferma o si crolla. Senza appello. La Juventus si gioca tutto in Laguna, e c’è quasi un sapore epico, garibaldino, nel modo in cui i tifosi si stringono attorno alla squadra come a un’ultima chiamata all’unità. Perché senza la Champions – quella vera, quella con le luci grandi – ripartire sarebbe una montagna durissima da scalare. Il prossimo anno si trasformerebbe inevitabilmente in un “anno zero”, e da un anno zero che ambizioni possono davvero nascere? Quali giocatori di valore possono essere convinti a sposare il progetto? Quali investitori possono credere in una Juve senza vetrina europea? Persino Antonio Conte – che resta il grande tema di fondo, l’allenatore evocato in ogni scenario futuro – verrebbe probabilmente lo stesso. Ma più per amore, per attaccamento viscerale alla maglia e al popolo bianconero, che per reale convinzione di poter competere subito. E lo farebbe, questo è il punto, con le mani ben piantate avanti: a dire che la Juventus potrà anche rinascere, ma servirà tempo, pazienza, e una nuova costruzione.
Il campionato è pazzo, lo sappiamo. Niente è deciso finché non si spegne il cronometro dell’ultima giornata. Eppure, una cosa va detta con onestà intellettuale: la Juventus non ha meritato molto di più, lungo il percorso. Neanche domenica scorsa contro l’Udinese. Una partita che si sarebbe dovuta divorare – per superiorità tecnica, per fame, per necessità – e che invece si è vinta con fatica, 2-0, segnando nella ripresa, dopo un primo tempo in cui la paura di fallire era più forte del coraggio di osare. È stata una Juve contratta, timorosa, come spesso accaduto in questa stagione. E nonostante il risultato, nonostante l’abbraccio simbolico a Vlahovic, quello che resta è una sensazione di incompiutezza. La squadra ha vinto, sì. Ma non ha dominato. Non ha lanciato un segnale. Ha semplicemente fatto il suo, in una serata in cui fare il proprio dovere era già tutto. E questo, per paradosso, è già tantissimo.
Alla fine, come spesso accade, la verità sta nelle parole. Quelle di Igor Tudor, in particolare, raccontano molto più di quanto sembri: “Come si gestisce questa settimana? Come quella appena passata. Anche se provi a togliere pressione, inevitabilmente c’è”. È la pressione che si avverte nelle ossa, nei muscoli, negli occhi. È la consapevolezza che non ci saranno seconde occasioni. Che questa Juve, per quanto imperfetta e discontinua, ha comunque l’opportunità di chiudere la stagione con un biglietto per il futuro. Non era scontato trovarsi ancora in corsa. Non era scritto che arrivasse questa possibilità. Ma ora che c’è, va afferrata con ogni energia residua. Con cuore, testa e gambe.
Venezia sarà verità. Senza appigli, senza scuse. È l’ultima curva di un’annata tormentata, l’ultimo ponte prima del giudizio. E allora sì, tutto si decide in novanta minuti. Come solo le grandi squadre, e le storie che contano, sanno fare.
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