La finale Champions tra Inter e Psg
Perché in Italia si preferisce parlare sempre dell’arbitro (leggi) invece che di campo (realtà)?
«Magari si discutesse di leggi, discutiamo dell’interpretazione delle leggi, con i tifosi che vorrebbero che la legge fosse applicata ai nemici e, appunto, interpretata per gli amici. E se in un primo momento avevamo pensato che la tecnologia potesse aiutarci in questo oggi abbiamo la sicurezza che non è così e dove prima c’erano dieci episodi dubbi, adesso ce ne sono mille».
La Cultural Intelligence come interpreta la dicotomia risultatismo-giochismo?
«Per la Cultural Intelligence questa dicotomia non esiste perché non ragiona in termini di dilemmi. E curiosamente è la filosofia ‘giochista’ che rifiuta il confronto ritenendo il proprio approccio eticamente superiore, moralmente più valido e sportivamente più vincente. Ma dire che è importante giocare bene senza guardare al risultato cercando di dimostrarlo con i dati è una contraddizione abbastanza clamorosa».
La finale di Champions League tra l’Inter e il Psg letta attraverso la Cultural Intelligence, cosa ci restituisce?
«Da una parte un Psg multiculturale, non solo per i giocatori ma anche per Luis Enrique che, calcisticamente, ai tempi del Barcellona e della Spagna, esprimeva solamente una cultura olandese-catalana. Dall’altra l’Inter italiana, nella migliore accezione di questo termine, capace di interpretare le condizioni ambientali e sociali di una partita. L’Inter non va in campo per suonare la propria musica, ma per suonare l’avversario, adattandosi e reagendo alle difficoltà contingenti. Sarà una partita molto interessante».
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