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Baggio e la Fiorentina: "Non versavo lo stipendio, mi vergognavo. La Juventus e quel bacio alla sciarpa..."

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Baggio e la Fiorentina: "Non versavo lo stipendio, mi vergognavo. La Juventus e quel bacio alla sciarpa..."

Roberto Baggio si è raccontato a tutto campo al BSMT e tra i temi affrontati dal Divino Codino ci sono stati anche l'infortunio al ginocchio che ha condizionato la sua avventura alla Fiorentina e il burrascoso passaggio alla Juventus.

L'INFORTUNIO A VICENZA - "Purtroppo tutto si è interrotto con quell'infortunio. Lì ho capito che tutte le certezze che teoricamente avevo si erano frantumate in un secondo. Erano anni particolari, anni in cui chi aveva questo tipo di infortunio smetteva, diciamo la verità. Davanti a me ci sono stati giocatori come Marangon, Briaschi, un certo Zmuda nazionale polacco del Verona che avevano avuto tutti quell'infortunio e tutti poi se sono tornati sono tornati con problemi. Avevo da poco compiuto 18 anni, nel momento più bello anche perché è un'età in cui le pressioni non le senti perché sei talmente attratto dal momento di giocare che il resto non interessa. Il momento in cui me l'hanno detto? Ero in ospedale a Vicenza, mi hanno fatto l'artroscopia e lì è risultato che avevo il crociato completamente rotto. Avevo poi un problema al menisco, al collaterale, alla capsula... Insomma, un po' di danni. La prima cosa che ho chiesto al Professore è stato il tempo, perché io avevo avuto un infortunio a un menisco tre anni prima e avevo perso un mese e mezzo per un menisco. Oggi ti operi ed esci il giorno stesso dall'ospedale, per dire le differenze nei tempi di recupero. Ho chiesto il tempo e lui in maniera molto tranquilla mi disse: "Almeno un anno". Lì fu tragico. Ero andato a fare l'artroscopia convinto di giocare domenica, perché mancavano due giornate alla fine del campionato con il Vicenza. Lì ho scoperto la realtà. Poi ci è voluto più di un anno, io invece di operarmi lì andai in Francia, a Saint-Etienne, dove c'era il Professore migliore in quel momento. Non è stato facile, a 18 anni non sai neanche dove stai di casa. Però il coraggio. La tecnica era fibre di carbonio, ma non volevo cose non mie addosso. Ed è stata forse la fortuna, perché in Francia operavano con altra tecnica. Che poi mi ha condizionato per tutta la vita, però era roba mia. Mi è stato ricostruito il crociato con il vasto mediale, muscolo che tutti abbiamo nella parte interna sopra il ginocchio. Mi è stato tolto un pezzo di muscolo che poi non mi è ricresciuto. Tanti problemi che ho avuto dopo, anche altri infortuni, sono stati dovuti a questa instabilità. Imparate tante cose mediche? Ti tocca, anche se non vuoi devi farlo dopo".

LA SCELTA DELLA FIORENTINA DI CONTINUARE - "Non so cosa poteva fare in quel momento, devo dire la verità. Quando mi sono fatto male l'unica cosa che pensavo era di tornare il prima possibile a giocare. Sarei stato disposto a mollare tutto, soldi e non soldi, non mi interessava. Avevo sempre quel sogno che mi accompagnava, sarei passato sopra a tutto. Mi interessava solo tornare e stare bene. Io sono stato molto grato a Firenze, alla città, ai tifosi, alla Fiorentina. Per questo motivo, la gente mi voleva bene e ho fatto praticamente due anni senza giocare".

RIFIUTAVA LO STIPENDIO? - "Andavo a ritirare la busta, ma non avevo il coraggio di metterla in banca. Perché mi sentivo in colpa. Perché non giocavo e mi vergognavo. Sono fatto così. Sei mesi così, poi prima di Natale mi chiama il segretario e mi chiede dove ho messo gli assegni. Io un cassetto in entrata dove avevo messo le sei buste. Dico: "Le ho qua". Lui risponde: "Cosa aspetti a metterle in banca?". Dicevo andrò, andrò... Poi ho dovuto farlo. Però se fosse stato per me...".

RESTITUIRE ALLA FIORENTINA - "Era un atto dovuto. Dovuto perché io mi sentivo veramente amato da questa gente che non avevo ancora giocato. Mi è rimasto dentro. Per questo è stato così difficile andare via per me".

L'ADDIO ALLA FIORENTINA E IL PASSAGGIO ALLA JUVENTUS - "Io non volevo andarmene, è stato visto come un rifiuto alla Juventus. Io in realtà non rifiutavo la Juve, ma non volevo andarmene da Firenze. Mi sentivo in debito con questa città, questa gente, questa tifoseria. Sarei andato via dopo magari, ma non in quel momento".

LE PROTESTE - "Mi ricordo ovviamente. Ci fu la preparazione di Italia '90 a Coverciano. Era appena successo il mio trasferimento e la gente era avvelenata, ci furono incidenti per tre giorni e la cosa mi toccò profondamente. Non ce l'avevano con me, era ovviamente il fatto che io ero andato via e loro non volevano assolutamente. Di conseguenza il loro amore si è scatenato in un inferno".

IN QUEI DUE ANNI HA PENSATO DI MOLLARE? - "Praticamente io per due anni ho giocato forse le ultime cinque partite ma a spezzoni. Pensato di dire basta? Cosa vuoi, ero da solo. Partivo da casa che avevo dieci persone a tavola tutti i giorni in famiglia, mi trovo lì da solo tutti i giorni, con questo problema e non vedevo una via d'uscita. Ed è normale che ci siano momenti in cui per quanto tu faccia e non vedi un risultato ti vengano dei dubbi. Era un momento difficile".

AVEVA INIZIATO A PENSARE A UN PERCORSO ALTERNATIVO? - "No, io volevo fare solo quello. Altri lavori ho detto li farò dopo, però ora devo dare tutto per fare questo".

LA JUVENTUS, IL BACIO ALLA SCIARPA DELLA FIORENTINA E IL RIGORE - "Si creò il putiferio? E' strana questa cosa. Si parla tanto del calcio pieno di mercenari, poi quando uno dimostra affetto e gratitudine subito viene etichettato. Io l'ho fatto in maniera spontanea, era il minimo che potevo fare senza mancare di rispetto alla Juventus, non era il mio intento. Il mio intento era dire grazie a quello che mi aveva dato la gente di Firenze. Una cosa semplice. Però allora andava bene creare un caso, come lo è stato il calcio di rigore. Vado a giocare a Firenze con la maglia della Juve, fanno rigore su di me e in settimana avevamo deciso che lo avrebbe battuto De Agostini. Per evitare ogni cosa. De Agostini era rigorista della Juve finché non sono arrivato io. Fatalità lo sbaglia, e hanno montato un caso sul mio rifiuto. Serviva a tanti per fare confusione, ecco...".

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