C'è un ragazzo che parte da Como, da un campetto di Rebbio, e che corre. Corre sempre, anche quando gli altri rallentano e soprattutto quando c'è da soffrire. Corre per sé, per la squadra e per un'intera nazione. Si chiama Gianluca Zambrotta. E la sua storia è fatta di silenziosa fatica. "Sono nato e cresciuto a Como e ho iniziato a dare i primi calci al pallone nel lontano 1986 - racconta il campione del mondo 2006 in esclusiva ai microfoni di Vivo Azzurro TV -. Andavo a giocare all'oratorio, a piedi o in bicicletta. Tutto è iniziato nel campetto di Rebbio, con l'US Alebbio e mister Giorgio Taiana, che ricordo ancora con affetto. Lì è iniziato tutto". Perché c'è sempre un inizio, nella vita di chi lascia un segno. Il suo è semplice, concreto. Famiglia umile, lavoro tessile: "Como è sempre stata la città della seta", ricorda Zambrotta. E anche lui, da diplomato perito tessile, 'rischiava' di finire in fabbrica, se il calcio non gli avesse cambiato la traiettoria.
Gattuso è l'uomo giusto per l'Italia
Eppure, anche quando il destino sembra voler prendere un’altra direzione, ci sono scelte che hanno il sapore di valori che resistono al tempo. Come quella di dire sì alla Nazionale, sempre e comunque. "Andavamo anche da infortunati - racconta - solo per farci visitare dal medico, nella speranza di restare il più possibile. Perché la maglia azzurra non si discuteva: si amava e basta". Oggi, in un'epoca in cui il richiamo dei club sembra spesso avere la meglio, Zambrotta guarda con grande fiducia alla scelta di Gennaro Gattuso come Ct. "Rino può restituire entusiasmo e identità alla Nazionale. È preparato, ha esperienza, ma soprattutto è uno che ha sempre superato ogni difficoltà con spirito di sacrificio e umiltà". Valori condivisi, scolpiti nel DNA di una generazione cresciuta nei campi spelacchiati di provincia, tra oratori e corse in salita. Perché prima di diventare campioni del mondo nel 2006, erano ragazzi qualunque con sogni più grandi delle loro paure. E quel fuoco, Zambrotta continua a vederlo negli occhi di chi ha fame, proprio come Rino.
La carriera di Zambrotta
Bisogna ripartire proprio dalle storie semplici, fatte di sacrificio e determinazione, come quella di Gattuso e dello stesso Zambrotta. Perché prima di diventare un punto fermo della Nazionale, anche lui ha dovuto inseguire il suo sogno partendo dal basso. Il calcio lo ha scelto, e lui non lo ha mai tradito. Esordisce in Serie B con il Como il 28 maggio 1995 (Como-Cesena 2-0): l'allenatore è Marco Tardelli, campione del mondo nel 1982. Poi due stagioni in Serie C1 e una Coppa Italia di categoria, decisa anche da un suo gol in finale contro la Nocerina (4-0). Nel 1997 passa al Bari: Eugenio Fascetti lo trasforma in esterno a tutta fascia, in un 3-5-2 allora rivoluzionario. Corre, si sacrifica, segna poco ma incide. Nel febbraio 1999 arriva la prima chiamata in Nazionale, a Pisa contro la Norvegia (0-0): "Ero al Bari, davanti c’erano mostri sacri. Ma io pensavo solo a lavorare". Poi la Juventus: prima Carlo Ancelotti, poi Marcello Lippi. È lui a spostarlo terzino, intuizione decisiva. "Camoranesi era più forte nell’uno contro uno. In quel ruolo, trovai spazio prima in squadra e poi in Nazionale, dopo l’addio di Maldini", confessa Zambrotta, che diventa così uno dei terzini più completi al mondo. In bianconero divide la stanza prima con Zinedine Zidane, poi con Pavel Nedved, rispettivamente Pallone d’Oro 1998 e 2003. Poche parole, tanta sostanza: in campo si capivano così.
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