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Da Villar Perosa allo Stadium: Juve, la festa di famiglia tra speranza e appartenenza

Andare in trentamila allo stadio, con 37 gradi all’ombra previsti alle 18, in una Torino desertificata dal ponte di Ferragosto, è un segnale di speranza e appartenenza che il popolo juventino manda alla squadra e alla società. Va bene i biglietti a cinque euro e va bene la tradizione, ma date le circostanze e le temperature, una partecipazione così massiccia alla sfida con la Next Gen significa che le annate storte, i mercati sbagliati, le illusioni generate e disintegrate dai cambi di panchina, alla fine, non hanno rovinato la festa più tradizionale della juventinità: l’amichevole in famiglia. Famiglia in tutti i sensi, non solo perché in campo c’è solo la Juve con due maglie diverse, ma perché la partita di agosto è da sempre il Natale della comunità bianconera che unisce proprietà e tifosi.

Certo, manca lo sfondo di Villar Perosa e questo, per molti, sradica una parte fondamentale del rito, ma ci sono pro e contro: perché se salire in valle e vedere una delle squadre più importanti del mondo giocare su un campetto fra le montagne, aggiungeva poesia al contesto, lo Stadium è più democratico e allarga la festa a un pubblico più ampio (e a un prezzo più onesto...). Le iconiche immagini dell’Avvocato, seduto su una sedia di plastica a bordo campo, restano immortali nell’iconografia juventina, ma lo Stadium è da quattordici anni la vera casa del club, il posto più logico dove organizzare una festa. E Villar Perosa, per la cronaca, non ospita più l’amichevole a causa del contenzioso legale tra i fratelli Elkann e la madre Margherita, che coinvolge anche le proprietà in Val Chisone.

In trentamila, dunque, sfideranno il caldo per far sentire il loro, di calore, alla squadra. È un popolo dai sentimenti mischiati, quello juventino. Le ultime deludenti stagioni hanno aumentato la schiera degli scettici e dei polemici, eppure resta ampia la schiera degli innamorati a prescindere, molti dei quali saranno allo Stadium oggi, probabilmente senza illudersi di assistere all’alba di un’annata trionfale, ma mischiando speranza e senso di appartenenza, le due molecole sostanziali di cui è costituito il tifo. E questa tradizione estiva rende unica la Juventus e questa partita, insignificante sotto il profilo tecnico, fondamentale dal punto di vista emotivo, dato che riunisce la gente che ci va perché si sente parte di qualche cosa di importante e che, sotto sotto, spera che qualcosa di miracoloso accada, al termine di questa magrissima estate di mercato. Servirebbe una magia di Yildiz, il ragazzino che fa sognare, il maghetto da cui tutti si aspettano l’incantesimo, il numero dieci nel quale i tifosi sognano si reincarni almeno un briciolo del talento di Del Piero, grande sponsor di Kenan.

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