INVIATO A FIRENZE - Una fucilata nella notte, e niente più. Firenze non è il rinascimento bianconero, è semmai l'ennesima prova di una squadra compassata, complicata, difficile da capire e però pure da affrontare. Insomma: è una roba da 1-1, pure su un campo complicato, pure con una squadra che s'incastra nelle proprie paure, tra classifica e ambiente che non rinuncia al suo status, a prescindere dal passato più recente. Segna Kostic, sul finire del primo tempo. Risponde Mandragora, sull'inizio del secondo. Un paio di spari improvvisi e improvvisati. Uno spiovente recuperato a fatica che diventa un mancino velenoso, l'altro è un gioco pulito di Kean e un sinistro siderale come la distanza da cui viene scagliato. Tant'è: è nell'innaturalità delle cose, di quelle viste e di quelle attese. Perché una gara così non era solo pronosticabile: era proprio prevedibile. E a proposito di previsioni, nonostante rivoluzioni mezze sbandierate, alla fine Lucio non ha cambiato. Anzi: ha pure rafforzato la base di partenza, sbiadendo il copyright di Tudor e provando a innovare, a trovare dentro di sé - e nella rosa a disposizione - almeno un passo differente.
Le scelte e le cose che non vanno
Perciò, ancora, difesa a tre: ma con Kelly basso (e Gatti va fuori). Perciò Kalulu e Koop da terzi, ma con licenza di condurre palla; perciò Kostic a sinistra, ma con Cambiaso a destra, trasformandolo presto in un centrocampista aggiunto. Risultati? Pochi. E tra le cose che non vanno: Locatelli e Thuram filtri con peccati di dinamismo, Yildiz lucina da buonanotte, McKennie disturbatore senza avere realmente una strada da percorrere. Almeno, Vlahovic sta bene. E la scelta è giusta, come quella di lanciare Kean dall'altro lato, col supporto di Piccoli e una mediana leggera, più retroguardia a tre. Vanoli ha subito capito il caposaldo per affrontare ad armi pari i bianconeri: raddoppio costante sul numero dieci e aggressività finché ce n'è, finché si può. Paga. Eccome. Persino all'inizio, quando s'intuisce quanto e come il pubblico avrà un atteggiamento e Vlahovic ne avrà un altro, di immediata risposta. Risposte che deve dare pure Moise Kean, chiamato a trascinare la Viola dalle sabbie mobili, o quantomeno a rialzare la testa con atteggiamento da leader. Bastava chiederglielo.
Rigore revocato alla Juve
Così, al 12', quando parte da destra e sfida per la prima volta la difesa bianconera, quest'ultima si mostra ballerina, preoccupata, un po' come Marì dalla rabbia che esterna Dusan Vlahovic: al 14', il serbo prende palla sull'out destro e sembra poter avere solo lo scarico come unica giocata plausibile. Poi sterza, s'inventa un tacco, supera di tunnel l'avversario e viene atterrato. Calcio di rigore ed è paura prima del delirio: ma non è Las Vegas, né Doveri è un cuor di leone. Ascolta il Var, la va a rivedere, ravvisa un tocco di Dusan che cronologicamente arriva prima. E allora rifà, subito dopo aver fatto. La Fiesole esulta come un gol, e la Fiorentina si fa trascinare fino al 25', quando Kean prende metri e affronta Koop, finta e controfinta, tiro secco: traversa. Pare il preludio a un'altra partita, a capovolgimenti di fronte, e invece il timore si mangia le giocate. Piedini e braccini. Fino alla corsa solitaria di Vlahovic, è il trentacinquesimo: Marì si blocca e DV9 va, va che è una meraviglia, va da solo che è c'è giusto De Gea. Salta lo spagnolo e no, non calcia, si fa rimontare da Pongracic e perde il tempo, come l'occasione.
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