“Da troppo tempo, quando si parla del razzismo, ci si concentra sulle persone discriminate, mentre io sostengo che dovremmo rivolgere il nostro interesse alle persone che, talvolta senza volerlo o saperlo, da queste discriminazioni traggono vantaggio. Che cosa significa “essere bianco”? Come si diventa bianchi? Perché non si nasce bianco, lo si diventa”. Lilian Thuram non è mai stato e mai sarà un uomo convenzionale. Non era un difensore omologabile negli stilemi classici del ruolo, approcciando il suo compito con classe, visione di gioco e intelligenza. E oggi che, smesso di difendere, va all’attacco del razzismo usa strade diverse, meno battute, spesso rovesciando il problema. È stato un fenomeno, continua a essere rilevante, con i suoi libri e con i suoi contributi al dibattito. “Il pensiero bianco. Allenarsi alla diversità” è uscito l’anno scorso e continua a essere una lettura interessante, nella quale Thuram ricostruisce il razzismo come processo sociale che non esiste in natura, ed è quindi completamente assente nelle dinamiche dei bambini, ma nasce a un certo punto, quando il colore della pelle inizia a essere un fattore determinante, dopo essere stato insignificante per l’infanzia. Thuram ha iniziato a combattere il razzismo in ogni sua forma (perché le discriminazioni possono essere tante e multiformi) da quando era un calciatore, a fine carriera si è dedicato in modo costante alla società, con una fondazione, Fondation Lilian Thuram, il cui motto è “Educazione contro il razzismo”, con la quale finanzia progetti e studi sul razzismo, pubblica libri e opuscoli, ha elaborato un “manifesto per l’uguaglianza” e collabora con le istituzioni europee.
Quella doppietta mondiale: "Due gol casuali"
Insomma, era un fuoriclasse e rimane un fuoriclasse. Perché l’importante rilevanza sociale dei progetti di oggi non può cancellare la meravigliosa carriera da giocatore, iniziata nel 1991 con il Monaco di Arsene Wenger, dove si segnala come uno dei migliori difensori d’Europa; nel 1996 passa al Parma dei campioni, dove continua la sua crescita insieme, fra gli altri, a Gigi Buffon. Il trionfo più importante con i ducali è la Coppa Uefa del 1997. Nei suoi cinque anni a Parma vince anche il Mondiale e l’Europeo con la Francia, protagonista in una formazione di fenomeni che ha dominato il calcio per un decennio. La sua doppietta nella semifinale del 1998 resta alla storia, anche se lui si schermisce sempre: “Due gol casuali, la finale mi ha dato più emozioni”. Poi nel 2001 passa alla Juventus (nella stessa campagna acquisti che porta Buffon a Torino, con il quale è grande amico), vince tre scudetti e gioca la finale di Champions del 2003, persa con il Milan. Chiude la carriera nel Barcellona.
A Thuram il Golden Boy alla carriera
Oggi è il papà del centravanti dell’Inter e del centrocampista della Juventus, Marcus e Khephrèn, due campioni di cui è spesso affettuoso spettatore e giudice severissimo. Non manca mai in tribuna, dove tradisce l’emozione e il, giustissimo, orgoglio del padre, ma dopo le partite è sempre pronto a far notare errori e omissioni ai figli, dei quali è anche censore sul modo di vestirsi. Il tutto con una buona dose di ironia e l’amore paterno. “Sono bravi, ma devono crescere e rimanere con i piedi per terra”, aveva detto qualche tempo fa in una trasmissione televisiva, quando i due non erano ancora in Italia. Oggi pendola tra lo Stadium e San Siro, ricordandosi quando i due bambini erano con lui sul prato del Delle Alpi a festeggiare lo scudetto del 2005. A lui va il premio Golden Boy alla carriera o, forse, sarebbe meglio dire alle carriera: quella da calciatore e quella di diffusore di pensiero sano contro il razzismo.
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