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Figc, Gravina: "Sì all'autonomia degli arbitri, Spalletti non lo avrei esonerato, Mancini voleva tornare ct. Se vado…

Redazione Il Bianconero03 dic 2025, 09:28

Ultimi aggiornamenti: 03 dic 2025, 09:28

Il presidente federale Gabriele Gravina parla in un'intervista al Corriere dello Sport.

Gabriele Gravina parla del passato, del presente e del futuro del calcio italiano. Il presidente della Figc ha dichiarato in un'intervista al Corriere dello Sport: "Se la Nazionale non si qualifica alla fase finale dei Mondiali, non c'è una norma che mi impone di fare un passo indietro, ma farei delle riflessioni personali. A chi mi dice 'vai a lavorare' rispondo: se vado via io, riparte il calcio e vinciamo i Mondiali? Se ne avessi la certezza, sarei il primo a farmi da parte. Per questo sono un uomo sereno. A chi dice che i miei predecessori si sono fatti da parte dopo una debacle ricordo che Abete si dimise per motivi personali, mentre Tavecchio fu sfiduciato e tradito. Alla base della nostra struttura c'è un principio di democrazia. Se pensiamo che quando c'è un risultato negativo bisogna cambiare il presidente, commettiamo un altro errore. Io in campo non vado, ma le mie scelte le difendo. Se vado via io che succede? L'Italia vince il Mondiale e spariscono i problemi? Nel 1994 volevano linciare i calciatori dopo una finale persa, lo ricordate? E ancora: la responsabilità sarebbe legata al risultato o alle riforme? Ecco, la mancanza di riforme è legata a norme statutarie e al consenso delle leghe. Se c'è una lega che è contraria, non le puoi fare".

"Le cause? La metodologia sbagliata. Ogni volta che la Nazionale commette un passo falso, immediatamente c'è l'indignazione popolare e si chiedono le teste. Ci sto, è il gioco dei tifosi. Ma noi continuiamo a cercare colpevoli senza renderci conto che la Figc non può imporre certe cose, ma soltanto sensibilizzare. Abbiamo ad esempio approvato una norma che permette di scorporare dal numeratore dell'indicatore del costo del lavoro allargato gli ammortamenti e gli stipendi degli Under 23 italiani. Rendiamo conveniente puntare sui giovani azzurri. Su 20 squadre di Serie A abbiamo soltanto 97 giocatori selezionabili, il 25% del totale, vi rendete conto? Le società di Serie A sono antagoniste della Nazionale? Oggettivamente lo sono, anche se involontariamente, ogni club guarda al proprio tornaconto".

"La ricerca dei colpevoli resta lo sport più praticato in Italia? Ma è sbagliato. Ci sono delle leggi che non consentono imposizioni. Il calcio come industria, ahimè, rientra nell’economia di mercato. E negli ultimi trent’anni è cambiato, bisogna rendersene conto. Prima era tecnica e noi eravamo maestri. Oggi è tecnica, velocità, fisicità. Guardate la Norvegia. La Norvegia però ha attuato un programma serio sui giovani? Anche noi ci stiamo lavorando. Non è un po' tardi? La nostra progettualità va avanti dal 2018, nel frattempo siamo diventati campioni d’Europa con l’Under 17 e con l’Under 19 e vicecampioni del mondo Under 20. Stiamo poi avviando un progetto per l’attività di base dai 5 ai 13 anni con due campioni del mondo, Perrotta e Zambrotta, insieme a un maestro come Prandelli. Vogliamo cancellare l’idea di un metodo incentrato solo sulla tattica. Meno tattica e più tecnica, questo l'obiettivo. Dobbiamo liberare l’estro. I bambini si annoiano, vogliono giocare, gli allenatori tendono a ingabbiarli negli schemi già in tenera età. C'è chi chiede la separazione delle carriere degli allenatori? È la strada, bisogna creare dei formatori. Chi punta al risultato non può lavorare nell'attività di base, diverso sarebbe affidando i ragazzi a degli specialisti della formazione".

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