Tutto è leggenda di quella Coppa. Ogni dettaglio ha una storia che merita di essere raccontata, nulla è superfluo nei ricordi della notte più indimenticabile della storia juventina. La notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1985, perché Juventus-Argentinos Juniors si gioca alle dodici di Tokyo, le quattro del mattino in Italia. Finale di Coppa Intercontinentale, in pratica il Mondiale per club concentrato in una partita. Il popolo juventino punta la sveglia o, per non sbagliarsi, non va proprio a dormire e aspetta mentre cresce la tensione. Non la possono vedere tutti, però, perché è la prima partita della storia della tv italiana ad essere trasmessa da un’emittente privata, l’allora giovanissimo Canale 5. E, per legge, Canale 5 può trasmettere in diretta solo in una regione. Quindi pochi fortunati tifosi bianconeri viaggiano a Tokyo, gli altri organizzano la trasferta in Lombardia da amici, parenti e qualche locale notturno. Il segnale da Segrate un po’ sconfina e c’è chi riesce a captare Platini a Novara e dintorni e in qualche zona del Veneto e dell’Emilia. È una notte di telefonate e di radioline, di occhi pesti di sonno ma tenuti spalancati dall’ardenalina.
A segno Platini e Laudrup
La Juventus va sotto, segna Ereros all’inizio del secondo tempo. Fin lì, gli argentini erano sembrati più sciolti, anche se mai veramente pericolosi. A quel punto, i bianconeri si svegliano e alzano il ritmo, Platini si scuote e inizia a disegnare calcio, da un suo scambio con un’eccellente Serena nasce un rigore netto, fischiato da Roth e trasformato dallo stesso Platini: 1-1. Ma l’Argentinos è tignosissimo e Castro, ispirato da Borghi (che ispirerà anche Berlusconi, ma è un’altra storia), riporta in vantaggio i rossi. Passano pochi minuti e Laudrup si infila in area avversaria, lanciatissimo, salta il portiere e questo, disperato, gli aggancia il piede. Cadi! Gridano milioni di tifosi. Cadi! Grida il Trap, vedendo caracollare il fuoriclasse danese che sembra aver perso il controllo del pallone. Cadi! Grida Platini che vede il pallone avvicinarsi pericolosamente alla linea di fondo. Laudrup effettivamente si piega in avanti, sembra proprio stramazzare, poi in violazione a qualsiasi legge della fisica si ritira in piedi, allunga la falcata, recupera il pallone sulla linea di fondo e, in violazione a qualsiasi regola della geometria, traccia l’unica infinitesimale traiettoria possibile per metterla in rete: 2-2. E parecchi infarti.
Platini, il capolavoro e la posa iconica
Poi c’è il capolavoro. Anzi i capolavori. Platini segna il gol più bello della sua galleria d’arte calcistica, con un sombrero a saltare il difensore e una mezza rovesciata al volo. Coefficiente di difficoltà 9.5, esecuzione 10. Roth si inventa un fuorigioco e annulla, Michel è incredulo: lui ha dipinto un gol rinascimentale, l’arbitro ha fischiato una decisione surrealista. Così si accascia sull’erba, nella posa di Paolina Borghese con il sorriso più ironico del mondo. Diventerà un’icona, quella posa, immortalata dal Platini dei fotografi, Salvatore Giglio. Così si resta sul 2-2. E ci sono i supplementari: noiosetti se non fosse per la tensione che cresce all’avvicinarsi dei rigori. La sequenza è il momento eroico di Tacconi e Platini. I giocatori della Juve sembrano uomini in missione per conto di un popolo che vuole celebrare tutto quello che non ha potuto celebrare dopo l’Heysel, che vuole godersi il tetto del mondo, tutte le coppe sfumate per sfortuna o errori. Non possono sbagliare. E non sbagliano. Platini stavolta si inginocchia, le braccia alte, il viso felicemente stravolto. La Coppa si alza nel cielo tra le mani di Cabrini ed è festa. Finalmente.
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