TORINO - Se non si è trattato di un’allucinazione collettiva, poco ci manca: però la campagna acquisti della Juventus, nella sintesi giornalistica di settembre, era stata accolta unanimemente in maniera più che positiva. Perché sì: non era arrivato il tanto atteso Kolo Muani, ma la pecca era stata compensata da due colpi, sulla carta incontestabili per referenze, come David e Openda; perché sì: in fin dei conti si diceva che tenere Vlahovic sarebbe stato l’acquisto migliore e nei fatti così è stato, fino all’infortunio; perché sì: è vero che non è arrivato un regista, ma magari Koopmeiners sarebbe esploso; perché sì: chissà, forse Joao Mario è pure meglio di Alberto Costa. Insomma, il pensiero collettivo lasciava ben sperare, ma alla fine ad andare a sbattere, con il senno del poi, non sono stati solo tifosi, media e opinione pubblica, ma anche chi questa squadra l’ha costruita, spendendo milioni. Perché aver cambiato quattro allenatori in appena due anni, oltre a rappresentare una anomalia di metodo nella lunga storia della Juve, non ha modificato gli equilibri di una squadra che rischia di ritrovarsi, ancora una volta, a dover lottare per un obiettivo che verosimilmente non sarà la corsa per lo scudetto dopo l’esame non superato a Napoli: al Maradona è emersa la differenza tra un gruppo da piani alti, nonostante tante assenze pesanti, e un altro ancora alla ricerca di un’identità. Una sensazione che aveva respirato anche Spalletti alla vigilia, in un passaggio della conferenza di presentazione della partita, in riferimento, nel futuro, a una Juventus come il Napoli dello scudetto spallettiano, da Grande Bellezza: "Qui mi rifaccio alle parole di John Elkann che ha detto che tutti fanno riferimento alla storia della Juve ma non sanno che futuro avrà. Con una società del genere si può tornare verso quello che vogliono i tifosi. Poi è la qualità dei calciatori che fa la differenza. Il percorso sarà diluito nel tempo".
Juve, dopo Bremer e Yildiz il vuoto
Già, proprio sulla qualità dei calciatori il dibattito si accende e diventa il vero nocciolo della questione: perché poi in campo ci vanno loro e nessun allenatore, finora, è riuscito a confezionare miracoli, pur ruotando vorticosamente filosofie e metodologie. La verità, cruda in tutta la sua durezza, è che la Juventus non riesce più a pescare un campione dal mercato da oltre tre anni. Gli ultimi sono stati Bremer e Yildiz: l’assenza del brasiliano pesa come un macigno non solo sulla difesa, ma anche e soprattutto sull’equilibrio generale della squadra; nel 2022, quando era arrivato a fine contratto dal Bayern Monaco, nemmeno chi aveva scelto il giovane talento turco avrebbe immaginato con assoluta certezza l’impatto che avrebbe avuto sui bianconeri. Da allora non sono più arrivati calciatori in grado di fare la differenza e nemmeno prospetti da coltivare per raggiungere lo status di campioni nel percorso juventino, sul medio-lungo periodo: dunque la problematica è ormai atavica, non si tratta soltanto dell’ultima sessione di mercato. Il fatto di dover fare i conti con certi paletti economico-finanziari è una foglia di fico che non serve a coprire lacune e scelte sbagliate: perché si può tirare fuori la creatività nello scouting (come fanno altre società con budget e blasone inferiori), ma è altrettanto vero che la Juventus non ha investito poco e la proprietà ha messo a disposizione anche risorse extra (vedasi aumento di capitale recente).
© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Juventus