E sattamente vent’anni fa, il 19 dicembre del 2005, **Luciano Spalletti nel bar di Trigoria** disse a Bruno Conti e Daniele Pradè: _«Stanotte non s’è dormito: s’è sognato, ma cosa non ve lo dico»_. Cosa non lo rivelò mai. Ma mesi dopo, a cena con alcuni cronisti, confessò: _«Dopo quella partita a Genova ho sognato di non cambiare mai più»._ Nella sua testa c’era solo un modulo che per lui, ex giocatore di classe modesta ma allenatore geniale, stava diventando una seconda pelle.
Il 18 dicembre 2005, allo stadio Ferraris di Genova, la sua Roma era in piena emergenza e **Spalletti decise di schierarla con il 4-2-3-1** e Totti unica punta. Non era solo un modulo, era un manifesto. Il mese dopo, a Torino in Coppa Italia, sconfisse la Juventus 3-2 sotto la neve. La sua Roma, la sua prima vera Roma, nacque lì. **Con gli schiaffi in testa dei giocatori** dopo i gol, il girotondo dopo le vittorie, le cene di gruppo, almeno una a settimana. Si sono davvero tanto amati, Luciano Spalletti e la Roma.
Il primo Spalletti
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Fin da quando, nell’estate 2005, scelse di vivere a Trigoria per parecchi mesi**. Poi si trasferì Casal Palocco**, villetta di proprietà di Marco Delvecchio. Poche cene fuori, quasi tutte da Checco dello Scapicollo, sulla Laurentina. Gli amici “pitoni”, cioè i quattro fratelli Testa, proprietari del locale, erano la sua famiglia. Tra una focaccia e un prosciutto con bufala, Spalletti arrivava con la sua Ford Ka e rimaneva al tavolo per ore. **Era talmente a suo agio da cenare anche con i giornalisti**, soprattutto dopo le partite. Si faceva accompagnare da un amico e chiacchierava fino a notte fonda. Non c’erano ombre, solo luci. Una sera uscendo dal ristorante vide dei ragazzini che lo aspettavano per un autografo. Glielo fece e poi li invitò allo stadio, scrivendo sul diario il numero personale: _«Fatemi chiamare da babbo o mamma e organizziamo»_. Lui era così, completamente dentro una città che l’aveva adottato.
Che ricordi
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Quando andò via, dopo essersi dimesso nel 2009, c’era di nuovo la [Juve](/squadra/calcio/juve/t128) nel destino: perse in casa con i bianconeri, la squadra non lo seguiva più (secondo lui) e lasciò i soldi sul tavolo dopo una conferenza epica, quella del “tacco e della punta” in cui fece capire, a modo suo, che molti giocatori si sentivano arrivati. **Svuotò l’armadietto di Trigoria di pomeriggio,** fece il giro dei saluti di sera, andò persino a casa a salutare alcuni dipendenti. Piangeva lui e piangevano tutti, anche perché quella Roma era stata irripetibile. Non a caso è l’ultimo allenatore **romanista ad aver vinto in Italia** (Coppa Italia 2008, a cui vanno aggiunte quella del 2007 e la Supercoppa). Uno scudetto sfiorato, partite irripetibili in Champions, un legame che sembrava indissolubile.
Il secondo Spalletti
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Nel 2016, a gennaio, Spalletti torna. Ma non è più lo stesso. Chiunque lo incontri lo nota subito. Le scene che prima erano simpatiche adesso non lo sembrano più. **A Luciano piaceva tagliare personalmente gli alberi di Trigoria.** Il “primo” Spalletti lo faceva a torso nudo con la motosega ridendo con i suoi giocatori (chiedere a Chivu o De Rossi, ad esempio), il “secondo” si arrabbiò molto (eufemismo) quando un giocatore, Manolas, lo sorprese in modalità giardiniere. Il greco, tra l’altro, una volta fece i conti con la generosità dell’allenatore che non ammetteva deroghe. Non era possibile, con lui, offrire neppure un caffè: dal bar Casarola, su via di Trigoria (soprattutto panini e tramezzini), a Tomeucci, a viale Europa, tutti erano suoi ospiti. E guai a fare il contrario: per informazioni chiedere sempre a **Manolas che una sera pensò bene di pagare anche il conto di Luciano** e della moglie, incontrati in un ristorante argentino. La vicenda Totti lo stava logorando, Spalletti viveva meno, e male, la città e la gente.
L'ultimo saluto
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Si divideva tra l’Eur, dove aveva preso casa a due passi dal Fungo, e Corso Trieste, dove era uno dei due figli che si era laureato alla Luiss. **La famiglia si era allargata con Matilde Romana** che, nel nome, porta la città rimasta nel cuore di Luciano e Tamara, ma troppe cose erano cambiate. Quando aveva voglia di scappare, Spalletti sceglieva pasta ai frutti di mare e vino bianco del ristorante Schiano. Il tavolo sempre defilato. E se quando andò via la prima volta tutti piangevano, nel 2017 molti videro il suo addio come una liberazione. **Aveva trascorso l’ultima notte a Roma nel 2009 tra le lacrime;** otto anni dopo passò la sera dell’ultima partita di Totti a litigare con un giornalista sotto casa. Un finale amaro, per l’uomo che sognava il 4-2-3-1 sotto la neve. E forse anche un’ingiustizia, per l’allenatore di tre trofei e di un record di punti in campionato,